Bisogna stare attenti, avere cura. In Notes from a Burning age (2021) di Claire North molto del sapere umano è stato nascosto in miniere, bunker, cave abbandonate. Come rifiuti tossici, molecole mortali che richiedono secoli per scomporsi e tornare innocue per la vita, bidoni di gas nervino avvolti in teflon. Saperi e tecnologie pericolose, l’archeotech dell’uomo antropocenico, vengono tenute lontane da quel che resta della popolazione generale. Ci sono pericoli nei bisogni di questo interregno, nell’immaginario ci sono riflessi di potere e abbondanza ed è sempre meno chiaro quanto è costato avere quelle storie di abbondanza e potere. Da qualche parte, in qualche server, dentro pendrive, tra le tecnologie proibite anche per la mente più temperata, quella che ha prospettiva del futuro e conoscenza profonda del passato, ci sono i file che descrivono la pulizia etnica, eliminazione di umani in gran numero, mezzi, mindset, quali storie raccontare perché succeda. Che le terre vengano liberate, che i suoi abitanti spariscano e lascino il posto ai pionieri, i coloni, i rinvigoriti dalla terra che meritano. Nel mondo descritto da North una faticosa general idea è messa in pericolo da emergenti forze della disruption. In questo mondo, anche in questo, la memoria non basta, non è un sistema di sicurezza culturale capace di creare fondamenti della lunga durata necessaria. Il sapere, prossimo alla verità, è più resistente, se, come una repubblica, saremo capaci di preservarlo. Con cura e attenzione, dal rumore di fondo e saperi che non sono perché in realtà storie deformate, ricordi della ripetizione, va scoperto ed estratto quello che è indispensabile nel momento in cui lo conosciamo. Il paradigma ha qualcosa del cigno nero: la rilevanza, la capacità di svelare verità, l’essere stato sempre lì. Ora, subito, all’opera. Il titolo va scomposto. Black Earth, the Holocaust as History and Warning (2015).
La Terra nera, fertile, di cui si compone il Giardino, parte enorme delle Terre di sangue, è l’Ucraina. Scrivendo la parola, Ucraina, la gravità aumenta. Il grave sul presente, la centralità di terre neglette e quasi dimenticate dagli immaginari sono centrali nell’Antropocene. L’Ucraina che è nella mente di uomini che ne sono affascinati, dai suoi campi infiniti che sembrano la fascia del grano del Midwest, i fiumi che sono le vene di un’industria e i suoi trasporti ad attrito ridotto. Uomini hanno immaginato quella terra come una nuova frontiera, lande ordinate e produttive e nell’immaginarle ne hanno visto le ricchezze, un giardino ordinato ma nessun essere umano se non rari, obbedienti, disarmati, servi. Lì la brama. Per Hitler l’Ucraina è un paradiso antico e moderno, essenziale per la sopravvivenza del suo popolo ma è piena di ebrei che vogliono ucciderlo. Era quello che il West era stato per gli americani. Ora, ci sono troppi ucraini? Ecco il grave, la ridondanza di concetti e parole e immagini, il ritorno.
Non come memoria che tende ad essere riordinata, soffre dei difetti di quella chimica del cervello. La memoria è importante ma tende insieme a sbiadirsi e diventare pietra. Quindi la memoria non basta, soprattutto adesso. Storia sui testi ritrovati, sugli archivi rinvenuti, dalle poesie dei morti, i diari e le lettere e i racconti di chi ha affrontato lo scenario dell’orrore più complesso e mortale della storia umana. La storia come prossimità all’accaduto e al reale, così che non si supponga, si proceda per paradogmi, per usare Ignazio Licata, proprio mentre sfide simili di pongono e l’Antropocene si svolge nel giardino di casa, fuori dalla finestra.
Avvertimento, potrebbe spiegarsi da solo ma non è davvero così. Lo spettro è chiaro e indistinto, informe, non percettibile, con caratteristiche e accezioni del fantasma ovvero non reale, il concetto di fantasmatico che incontra come per caso la sua incarnazione, non possibile, fantasioso eppure esiste nell’espressione, logora dai mille tagli della vita del singolo e della memoria nella Lunga pace imperfetta dell’Occidente, la frase, la sentenza: può succedere ancora. Lo spettro di un altro Olocausto. In un pianeta con armi nucleari, in assestamento cognitivo per il nuovo medium internet, oltre la capacità portante di C02 dell’Olocene. Il fantasma è in quelle parole, il demone è nella sua emersione. Dalla fiction alla storia e poi a noi, il presente.
Black Earth è un libro di scene ed eventi. Immagini, narrazioni, numeri ed esperienze hanno strati, peso, rilevanze, vengono estratte e rilasciate come metano e Co2. Storia su terre, decenni e conseguenze, popoli in movimento, persone, nomi. Eroi ed eroine e il loro opposto.
“To characterize Hitler as an antisemite or an anti-Slavic racist underestimates the potential of Nazi ideas. His ideas about Jews and Slavs were not prejudices that happened to be extreme, but rather emanations of a coherent worldview that contained the potential to change the world.” scrive Snyder a pagina 320. Hitler diceva ebrei come parola-mondo. Ebreo è un mindset, quello che ha prodotto cristianesimo e democrazia, marxismo e capitalismo, modi in cui l’umano, in modo innaturale per il nazista, gestisce lo stare su questo pianeta. Cosa è naturale invece per il nazista: che l’esistenza sul pianeta sia sofferenza, una lotta fondamentale per alimentarsi. Il pensiero che non sia lotta per la sopravvivenza ovvero per il cibo migliore per il nazista è innaturale, un prodotto sintetico e culturale dell'”ebreo”. La portata nichilista, anticivilizzazione, antiumana del nazismo è aumentata per magnitudine e verticalità nel momento stesso in cui si ristabilisce l’aspetto razziale delle politiche e del pensiero nazista come incidentale. L’antisemitismo hitleriano, scrive George Mosse, è stato il tool politico usato per riunire la galassia conservatrice tedesca. Il nazismo è oltre il momento razziale. L’accostamento lotta della sopravvivenza con una tavola abbondante e ricca è hitleriana, fa parte del suo immaginario. Questo ha determinato gli obiettivi della potenza militare tedesca e insieme delle sue politiche di sterminio. Adesso le poche linee di dialogo del Princeps di Trisolaris potrebbero sembrare estremamente familiari con parole e mindset del caporale austriaco. Una Weltanschauung dove la sopravvivenza è l’unico e vero drive ha una immensa portata anche narratologica così la Leningrado storica viene affamata e nei piani di Trisolaris, imperiali, suprematisti, anticultura, coloniali si forma un’Australia, dove, spoiler, una civiltà capace di viaggi interstellari elabora un thunderdome per la sussistenza alimentare per la razza inferiore, noi. Trisolaris è una terra fredda e calda, troppo, senza arte o passioni se non di brama e proiezioni. Il trope persistente della distopia, il mondo come arena e la sua metafora che viene realizzata ed eretta ed è un’arena dove umani, spesso adolescenti e bambini, combattono per la propria sopravvivenza, per confermare un’ideologia, come punizione, circo e in tutte queste accezioni insieme è un’immagine che corrisponde al pensiero hitleriano e nazista. Imbandire la tavola è uno struggle, è la lotta, der Kampf. E l’uomo che vuole sopravvivere proietta la sua sofferenza: altri devono essere estratti dalle proprie case, rinchiusi, lasciati a combattere per alimentarsi. Suzanne Collins, autrice della saga The Hunger Games ha letto Black Earth? Rimane in sospeso ma per come, in maniera coerente, si compongono immagini e parole è ragionevole affermare: il nazismo è narrazione immaginifica coerente. In quanto tale non ha bisogno di stereotipi razziali per sterminare.
I cospiratori contro l’Umanità si riunivano. Uno dei segni del Nemico, della pace, della civiltà, sono le sue accuse: dichiarano di essere aggrediti mentre aggrediscono, inventano cospirazioni mentre cospirano attivamente. Loro che cospirano proiettano. Comunque. Una delle idee iniziali era un’altra parola che il tempo e la sua inapplicabilità trasformava in un codice, Madagascar. Trasferire la popolazione ebraica lontano dall’Europa, immetterli nella natura e costringerli a sopravvivere, è stato un sogno per qualche tempo dei nazisti della cerchia interna. Come nel sonno, la logistica è frustrante, la resistenza della realtà che al risveglio si impone. Una volta che il trasferimento in isole mitiche era diventato impossibile per un altro soggetto della resistenza, la Royal Navy, serviva una soluzione alternativa. Le idee vengono dall’immaginario, quello della Namibia e della Rhodesia per il tedesco doveva essere fondamentale per “Madagascar”, o dagli altri. Come spostare milioni di persone, civili, era qualcosa che lo stato tedesco e poi il regime nazista non aveva mai fatto. Dove imparare? Un esempio, esperto, professionale, capace, era vicino: l’Unione Sovietica e il suo sistema di trasferimento coatto di interi popoli. Con treni, dove nelle rare fermate uomini armati e personale ferroviario chiedevano se nei vagoni sovraffollati vi fossero cadaveri, di bambini morti. E insegnanti estoni, georgiani, contadini e poeti ucraini. Lo sterminio è una tecnica complessa nel mondo, richiede energie, materiali, idee. L’ossessione per il cibo e la morte per fame di massa come metodo per liberare le terre desiderate deve essere arrivato da qualche parte ma per l’immaginario e nella narrazione del tedesco questo è un recupero agevole: è una tecnica usata contro gli Herero e i Nama. Questi ultimi resistettero con più successo: avevano armi europee, erano pastori e cacciatori-raccoglitori, veterani di guerre contro gli agricoltori bantù ma questa è un’altra storia. Quella del possesso di armi da fuoco in una popolazione civile contemporanea un’altra. Quindi schegge di quel fenomeno che si definisce “veteranismo”: gli orrori che i soldati compiono e a cui assistono in terre lontane ritornano in patria, nelle case, con i propri figli, con il giusto organizzatore di immaginari nelle strade. Così prima che le fabbriche di morte del regime nazista venissero erette, la morte per fame faceva parte del piano per le popolazioni incontrate lungo l’avanzata verso Mosca, la Crimea, il Caucaso. Colonie, più vicine.
L’immaginario coerente non basta. Tutte le “tecnologie” usate per eliminare umani erano consolidate, da tempo. Proiettili, filo spinato, il motore a scoppio per il suo gas di scarico, i composti chimici per le fumigazioni e il piano ecologico su un campo di battaglia dove la differenza tra personale militare e civile veniva dichiarata inesistente erano già state utilizzate, erano conosciute. Per trovare la novazione che ha trasformato l’antisemitismo e i suoi pogrom in Olocausto e milioni di morti non serve guardare l’orizzonte materiale. In Bloodlands Snyder risponde in maniera netta. Lo sterminio delle popolazioni civili nell’area “tra Berlino e Mosca” furono possibili per il devastante incontro tra i due ex alleati: il regime nazista e l’apparato sovietico. Nelle Terre di sangue SS e NKVD si erano alternate nel distruggere entità statuali, decapitare società uccidendone intellettuali e classe politica, per poi procedere nello sterminio delle proprie ossessioni: gli ebrei, i nemici della Rivoluzione. In queste terre e popolazioni, già devastate dalle carestie genocide di Stalin e lo sradicamento verso i gulag, arrivarono le forze combinate dell’esercito e delle unità specializzate nella distruzione di stati naziste. Difficile rintracciare uno scenario narrativo in cui il rischio di perdere la vita, la complessità-letalità del piano politico-ecologico è superiore a quello che effettivamente si è svolto nelle Terre di sangue. C’è la storia di un uomo, in Giappone, che sopravvive alla prima bomba atomica e corre, corre verso la propria famiglia, verso Nagasaki, in tempo, per sopravvivere alla seconda bomba. Nelle Terre di sangue un ucraino, in pochi anni, per raccontare la propria storia, avrebbe dovuto sopravvivere alla morte per fame nell’Holodomor dove milioni di suoi amici, vicini, compatrioti sarebbero morti tra addomi deformati, bande di cannibali e di giovani comunisti mandati a punirli e continuare a requisire del grano che Stalin voleva assolutamente vendere all’estero e poi ancora sopravvivere alla purga staliniana proprio di quei membri del partito che lo avevano aiutato a uccidere per fame altri ucraini che all’Holodomor erano sopravvissuti quindi di per sé sospetti, poi ai tedeschi o con i tedeschi, con i partigiani o contro, dall’Armata rossa, ai briganti. Quell’ucraino poteva o meno essere un nazionalista, poteva essere ebreo; un bielorusso, uno scrittore di Minsk, probabilmente è già stato nel percentile dei fortunati, ma non è fortuna, è la realtà che resiste per cui pure Stalin ovvero Dio non poteva uccidere tutti, e quell’uomo o quella donna, bionda ed ebrea, adesso deve sopravvivere alla Wehrmacht, ai bombardamenti indiscriminati, poi ai poliziotti sovietici adesso al servizio dell’occupante nazista e le percentuali di sopravvivenza variano a seconda dell’anno, dell’etnia, della fortuna, della capacità di ricevere aiuto e, soprattutto, come insiste Snyder, dalla capacità di autoaiutarsi e di avere una cittadinanza. Qui si è divagato. Ci sono stati luoghi nelle terre di sangue in cui la possibilità di sopravvivere, il percentile, per un umano, era diventata peggiore che in uno scenario distopico. La narrazione è insufficiente per comprendere la letalità di quegli anni e quelle terre perché costituzionalmente troppo semplice, meno complessa, approssimativo. Oltre: questo orrore da cui non va distolto lo sguardo perché davvero avvenuto. Nell’Europa sotto il controllo nazista solo la cittadinanza, lo status principe, poteva ridurre, spiega Snyder, spesso moltissimo, la mortalità. Dove uno stato, anche sotto occupazione, rimaneva funzionale, dove le città potevano essere preservate dalla distruzione della guerra e le violenze anarcoidi delle SS e dei poliziotti al seguito, le possibilità di salvarsi aumentavano di molte volte. Snyder indica: guarda, leggi, ho letto per voi, Vassilij Grossman, il giornalista dell’Armata rossa, che in Vita e Destino e Tutto scorre fa parlare i folli e mette “i crimini dei regimi nazista e sovietico nelle stesse pagine”. Questo “nelle stesse pagine” è un paradigma, inedito, scandaloso all’epoca, uno che Hannah Arendt non aveva fatto perché non osservatrice, non poteva immaginare, non aveva accesso alle fonti. Grossman attraversa un campo e lì la terra è “morbida” per le ossa dei morti, il piede affonda nelle fosse comuni dove la terra ha bisogno di tempo per tornare ad essere solida. Questo va ricordato dice Snyder: uno stato, il suo codice civile, va preservato. Le procedure, la burocrazia, gli status proteggono. Nel paradigma proposto soluzioni sono offerte insieme alle risposte. Quella terra morbida è storico e va evitato in ogni modo, comprendendo il sentiero oscuro.
Al Boston Globe, sola, al sicuro quindi, June passeggia, ha tempo. Guarda, legge, raccoglie i segni, il percorso, i collegamenti. I Figli di Jacob erano sempre stati lì, a erodere, preparare, complottare. Una presenza malefica e forse avrebbero potuta sentirla, dietro le architravi della legge, negli scantinati dell’internet antiabortista, in visite guidate a Capitol Hill, vestiti della dialettica politica, il sale della democrazia, i golpisti e poi eliminazionisti, si preparavano. Potevano essere fermati leggendo i segni? Quando quel tipo umano non complotta? Quando non desidera di cambiare una società e creare un uomo nuovo? Ma perché in quel momento? Come si trasformano criminali, risentiti, criptofascisti, sognatori, in assassini, traditori, eversori. In Handmaid’s Tale una risposta emerge dai dettagli, sullo sfondo. Ci sono crisi, una alimentare e una “della fertilità”. Forse perché logorata da utilizzatori infedeli l’Occidente smette di ammonire altre sfere e altri stati sul rispetto dei diritti umani. Il non intervento diventa la nuova politica internazionale, ogni popolazione è abbandonata a se stessa e nessun aiuto esterno arriva. Non è arrivato per i siriani qualche anno fa. Non è arrivato dalla Polonia mentre l’Holodomor era in corso e gli ucraini pregavano per l’arrivo di un esercito polacco che non arriverà mai. Nella lore del Racconto dell’Ancella le stesse grida di aiuto rimarranno inascoltate nel Maine e a New York. Le grida delle popolazione vittime, prigioniere nel proprio paese esce dalla Storia e vibra nella fiction. La crisi alimentare nel romanzo della Atwood viene, sembra, risolta con impuniti e non condannati crimini di massa contro popolazioni civili affamate. Poi la fertilità e deve essere il panico. Quello sul presente, il cibo, e sul futuro, i figli. L’ansia deve scatenare la paura, la paura una scimmia da meme, il sapiens entra in uno stato speciale, prima eco-angst poi l’ancella sparisce ed è il dio panico. I Figli di Jacob lo alimentano, raccontano storie sulla fine del mondo, che non c’è tempo da perdere, che la scienza non ci salverà e bisogna fare presto, sintetizzare qualcosa di ridicolo, altri passi dell’oca e vestiti buffi trasfigurando altre tradizioni come altre religioni e i militari. Nel panico il ridicolo e l’inaccettabile si camuffano da soluzioni. Preti ed ebrei vengono uccisi anche ne il Racconto dell’Ancella e l’antisemitismo dei Figli di Jacob sembra un tic collaterale della disgustosa posa eliminazionista del nazismo trascendente. Perché scrivere Black Earth? Perché dopo centinaia di anni di antisemitismo l’Olocausto arriva in quell’Europa? Timothy Snyder ha una risposta chiara, parte di un paradigma: perché quell’Europa è simile alla nostra tempolinea, perché è quando emerge il panico ecologico che l’orrore invade la realtà. L’urgenza del libro di Snyder è enorme perché il professore di Yale, dopo anni a studiare gli apparati nazisti e sovietici deve aver avuto l’idea che risponde alla domanda, perché lì, perché in quel momento, l’ultimo ingrediente. L’urgenza è nella risposta data in Black Earth: quegli orrori complessi e inediti per magnitudine sono stati possibili per un ulteriore elemento, il panico ecologico.
Un uomo entra in cucina, cerca una tazza rossa. Si guarda intorno, cerca dove dovrebbe essere, apre gli stipetti, controlla dentro la lavastoviglie ma niente, non c’è traccia della tazza rossa. Eppure è lì, sul tavolo, di fronte a lui. Dopo un po’, la trova. Eccola. Quella tazza che non vediamo è il fondamento del nazismo come risposta al panico indicato da Snyder. Mentre guardiamo la serie il Racconto dell’Ancella tendiamo a guardare le colonie e il centro di smistamento eppure i segni della bontà del paradigma di Snyder è in realtà in un’altra scena, ripetuta, ricorrente: quella del supermercato. Lì nuovi prodotti bio, sono retroimpacchettati, per evitare avvelenamenti da microplastiche magari o qualche motivo non scientifico ma che lo sembra, vengono offerti in uno scimmiottamento dell’abbondanza espressa, tra M4 e squarci di privacy per le donne. Le arance sono desiderate ma sono il segno che gli Angeli sono riusciti ad avanzare in Florida.
Che Hitler fosse vegetariano è uno dei meme più resistenti. Amava i suoi cani, mangiava verdure. Questo meme è forse resistente perché racconta di un uomo particolarmente concentrato su ciò che ha nel piatto. Forse lo sono tutti i sanguinari. Paul Shepard direbbe forse che Hitler rappresenta, come person of interest del rischio esistenziale globale, il mindset neolitico della sua decadenza finale con le sue pose etiche di basso livello, l’ossessione per i “frutti della terra”, amore per la natura e disprezzo per l’umano. Un tipo umano amante della purezza, magari di abitudini alimentari e comportamentali con cui giustifica tirate integraliste, che nell’Antropocene manifesto e il suo flusso di catastrofi sembra essere dall’altra parte dello spettro dell’ignavo climatico. Confonde rivincite politiche con nevrosi, ansia di cambiare l’altro da sé con l’urgenza di azione di mitigazione. Questo mindset è un immaginario confuso, frammentato, tossico. Proietta e abusa appunto della parola fascista, vede nazisti in ogni altro. L’immaginario che da vita a movimenti politici, pose intellettuali ed etiche bizzarre, “ecologiche”, antiumane, va indagato come i pipistrelli in grotte abbandonate, piccole scimmie che fuggono da bulldozer, dove si nasconde il prossimo germe e virus. Il legame, storico, tattico, cognitivo, antropologico tra fame e la reazione di primati e Sapiens a stress ecologico richiede una ulteriore elaborazione: un face off tra il paradigma paleolitico e il nazismo trascendente come momento culmine, nell’Olocausto, del paradigma neolitico. Un altro Grendel.
Intanto, Paul Shepard cammina a Belzec. Il collasso dell’agricoltura mesopotamica, del Levante di Assad, fabbriche possono produrre fertilizzanti e armi chimiche, le camere a gas, la green revolution della chimica in agricoltura nell’Europa tra l’ultima guerra mondiale e la Lunga pace adesso, certamente conclusa, la Royal Navy e le tavole dei sudditi del Kaiser, la diga delle Tre Gole e la Cina importatrice di cibo, dal mare, mentre il porto di Odessa ancora brucia sono sullo stesso piano immaginifico. Da qualche parte Cormac McCarthy dice che l’immaginario è più antico del linguaggio? Sì.
E in Black Earth Snyder di virus narrativi che potrebbero riemergere o endemici ne indica alcuni, il danno che causano, la persistenza, l’origine. Ancora proiezioni: Hitler definiva gli ebrei come “spiritual pestilence” di cui il mondo si sarebbe dovuto liberare. Nei laboratori narrativi di dittature e autocrazie si elaborano continuamente storie mirate alla memoria e ai sentimenti, due processi manipolabili, negli anni ’30, adesso ancora di più. Sono storie che parlano di pace, pacifismo, concordia, rispetto. Sono storie che vengono diffuse in popolazioni lontane dal fronte, al caldo, sazie mentre guerre di aggressione cominciano e popoli diventano prigionieri del proprio stato. Il non interventismo, un certo pacifismo va fondato attentamente e lo si fa raccontando che non c’è una fondamentale differenza tra la dittatura e una democrazia liberale nel capitalismo. Proprio questa è una storia inventata nella Polonia tre volta tradita, tre volte “liberata”, alla fine della seconda guerra mondiale, lanciata da polacchi sopravvissuti a Katyn’, al Ghetto, alla guerra, all’eliminazione degli intellettuali, perché a Mosca. Certi slogan sulla pace lanciati a Berlino e sussurrati a Roma sono gli stessi, identici, della Chicago prima dell’intervento americano contro i nazisti. Poi: l’equazione capitalismo-fascismo è un prodotto culturale dello stalinismo; il termine scientismo dei nazisti, certi che la scienza tedesca avrebbe permesso migliori carri armati ma non avrebbe “salvato” dalla fame percepita il popolo tedesco. Prodotti dell’ingegneria culturale che resistono. Espressioni come “fine della storia” che rendono compiacenti, aiutano la cecità, danno tempo che dalle fogne emergano, danno copertura a figli del collasso di sembrare gestibili, di prendere il potere e poi di realizzare sogni di rivincita e salvezza, su altri. Una cura contro il destino degli imperi è fare, senza che nessuno si immischi, raccontare che tutti i sistemi sono uguali ovvero disfunzionali, che il disfunzionale non è in una scala di gravità ma una condizione esistenziale. Un altro impero, contro il declino, la decadenza, di nuovo. Make Assur Roma Russia great again. Soprattutto se fuori il giardino brucia. Adesso per davvero. La capacità tecnica di “weaponizing” parole e concetti è solo aumentata.
L’autista dallo strano accento conosce bene le zona. Segue una placida strada di campagna: è quella con il panorama più bello, fuori dai percorsi turistici. Potrebbero attraversare il Texas o qualche regione dell’Appalachia o certe scogliere e fari all’orizzonte della Scozia, una valle in fiore dell’Europa dell’Est. Carol, Miriam, Sandro e i suoi amici ridono. Poi un attimo, il pullman cade in una scarpata. I ragazzi si svegliano ed è buio, qualcuno nelle file in fondo digrigna i denti, si lamenta, mastica qualcosa, incosciente. Parti del corpo che non dovevano pensare di avere richiedono attenzione, hanno vita propria nel dolore. Alcuni si alzano, altri aiutano. Zayda grida di chiamare suo padre. Dopo un po’ i soccorsi arrivano, sono dei poliziotti, uno sceriffo. E l’incubo comincia. Non c’è un film dell’orrore che può raccontare davvero. C’è uno sceriffo in Non aprite quella porta e la finzione della divisa e la realtà della pistola. Un’altra implosione della realtà. Poi delle luci, oltre i cristalli spezzati. Come quest’orrore si realizza e incarna attraverso altre forme, prodromiche, generi, violente ma non distopiche, sanguinose ma in alcune dialettiche umane ma non è così davvero, sono le insolenze, gli strappi, i crimini che permettono l’Apocalisse. La vita è sofferenza, abbiamo sofferto e abbiamo fame è la storia che raccontano autocrati e mostri. La creazione dell’orrore sembra l’opera di un ingannatore diffuso, un mutaforme i cui processi cellulari sono comunque classici, rispetta le leggi della fisica e della narratologia anche nei sogni. Quei sogni si definiscono neri, a volte, quando superano certe resistenze, della sfortuna, della narrazione che intercetta, della realtà, quando certe condizioni narrative, logistiche e politiche si realizzano i sogni neri di bambini diventano un incubo per il mondo. Espressioni, intellettualizzazioni come spettri e demoni sono utili a stabilire le presenze concettuali ma possono confondere, traviare in qualche modo. In qualche modo transumanizzano, deumanizzano i criminali protagonisti. Nello spettro dell’orrore niente è come fuori dalle baracche della Auschwitz appena liberata, dove soldati dell’Armata Rossa provano a violentare delle sopravvissute. Bande di cannibali attraversano la campagna in cerca di bambini soli: è The Road, è l’Ucraina dell’Holodomor. Aneddoti, scene, immagini descritte da Timothy Snyder sono orrori. Estratte e lette per sé sono i momenti horror di survival fiction, delle distopie ambientate nel prossimo futuro del clima collassato e dei collassi. Gli eventi di quei decenni, in quel flusso di territori e movimenti ed estremi emerge la catastrofe dell’Antropocene. In quella che è una wasteland, materiale, ecologica, dei sistemi anche etici, c’è speranza ma solo nella conoscenza e nel coraggio.
Da qualche parte sta scritto che il modo migliore per un insegnante per educare il principe non è dire, è indicare, più volte, come per caso, cosa guardare. Così Snyder indica come Hitler e Stalin hanno distrutto stati e società civili prima di procedere più in fondo nello spettro dell’orrore, e questo ci invita, nel pianeta che esce dall’Olocene, a non creare failed state. Disastro è l’invasione dell’Iraq ma il collasso della struttura burocratica, statuale irachena è quello che ha prodotto l’immenso costo in sofferenza e vite umane che è avvenuto dopo e continua. Non creare situazioni anarcoidi, in ambienti sotto stress ecologico, in collasso di sistemi, è una delle lezioni di Black Earth.
Ancora. “C’erano stati talmente tanti colpi di armi da fuoco che i cani di quelle campagne avevano smesso di reagire al suono degli spari”, scrive. Così è stato eseguito l’Olocausto: con armi da fuoco, nelle campagne, fuori città, dove le periferie finiscono, di fronte a lunghe, lunghissime fosse scavate dalla prima serie di vittime. Intanto i nazisti sparavano e uccidevano, creavano terre morbide. Eppure, scrive ancora Snyder, quando evochiamo Olocausto pensiamo al filo spinato e ad Auschwitz. Le fabbriche della morte, i campi di sterminio, arrivarono dopo. Sono il terzo metodo di esecuzione della Soluzione finale, in ordine cronologico, forse anche per numero di vittime. E questo glitch d’immaginario non è un risultato involontario della produzione culturale sul tema, ma sempre Snyder, in altri termini, ha un motivo narratologico essenziale: di fronte alle fosse della morte la probabilità di sopravvivere era quasi nulla. Nessun sopravvissuto, nessun testimone, nessun narratore, e la storia dell’Olocausto deve essere narrata da un sopravvissuto e una sopravvissuta. Qualcosa di quelle vittime dell’Holocaust by bullets è rimasto e Snyder lo storico, il poliglotta, l’ha trovato. Anche quelle vittime hanno avuto un nome, hanno scritto. Con le fosse la metafora di Volodine del campo di concentramento come mondo e futuro non è possibile ma anche qui c’è l’avvertimento: immensi numeri di vittime possono essere svolti in un modo che criminologicamente ha terribilmente senso, con una logistica della morte di massa semplicissimi. Modus, intento, motivazione. Machete, deumanizzazione, sovrappopolazione percepita, panico ecologico ed ecco lo sterminio dei Tutsi. Ma c’è dell’altro, altri.
Le shooting pits, la morte per fame di massa, il campo di sterminio sono una progressione in questa cautionary history. E i suoi veri protagonisti vanno indicati. Fanatici, veri credenti, sociopatici, psicopatici “puri” sono rari. I Vasily Blokhin, l’esiguo numero della squadra di assassini dell’NKVD, ci dicono che bastano un pugno di uomini e una valigia piena di Walther per compiere migliaia di assassini. Nel mare e le sue onde d’erba e grano dell’Ucraina le SS avevano bisogno di braccia e dita, in una strana conferma che la letalità è nell’umano, non nell’arma. Queste braccia vennero soprattutto da a chi è stato insegnato, in qualche modo, spesso non verbale, che la difesa dell’ordine è dovere supremo: i poliziotti. Ecco, racconta Snyder, che gli stessi uomini che difendevano gli ebrei dai pogrom divennero gli aiutanti del nuovo padrone. E chi aveva ucciso Kulaki per il Partito adesso avrebbe ucciso ebrei e comunisti. Poliziotti difendono Capitol Hill, altri muoiono nella Mosul appena conquistata. Le scelte che uomini addestrati compiono all’inizio del cammino nello spettro dell’orrore sono fondamentali come lo è evitare in ogni modo aree dove uomini e donne e bambini si trovino in balia della fortuna, senza umanità, senza legge. Storie ripetute di decadenza sociale creano difensori incerti del valore intrinseco dei sistemi e costituzioni che difendono e involontari, lo sono sempre, soggetti umani ad altri esperimenti di sopravvivenza nel mondo.
Ecco che l’Olocausto è, oltre il problema della memoria storica, come direbbe Eva Horn, un sapere-a-cui-non-crediamo. Uno la cui criticità è maggiore dell’altro esempio riportato ovvero il cambiamento climatico. We share Hitler’s planet and several of his preoccupations; we have changed less than we think. We like our living space, we fantasize about destroying governments, we denigrate science, we dream of catastrophe. If we think that we are victims of some planetary conspiracy, we edge towards Hitler. If we believe that the Holocaust was a result of the inherent characteristics of Jews, Germans, Poles, Lithuanians, Ukrainians, or anyone else, then we are moving in Hitler’s world (pag. 371). Il bambino non sa, non crede, sogna e trema, in ogni caso non vede, può attraversare uno spettro che continua con la paura e oltre. E scrive solo due storie sul futuro: il prima e il dopo la catastrofe, sempre inevitabile. È la monocultura immaginifica della fiction distopica dove il tempo per il pensiero è sempre prossimo a zero nel respiro accelerato della fuga finale. La fortuna dell’Olocene sta finendo. I decenni della Confusione stanno tornando, cominciati quando un simbolo mistico di luce invertito è stato messo in una bandiera. La resistenza della realtà non è stata sufficiente allora, potrebbe non esserlo ancora. Dove sono gli adulti nella Stanza? Snyder sussurra come riconoscerli e quanto ne abbiamo bisogno.
già su Il problema di Grendel