Di notte i sogni dell’individuo si mescolano a quelli della sua specie. (pag. 41)
Di due sentieri uno soltanto è quello che, scelto o meno direbbe un poeta, può essere percorso. Poi avanti e ancora incontri, in sequenza, per parole, scene, personaggi. Comincia da qualche parte, sembra di quello che, in scenari superati, si chiamerebbe il Grande Nord; in una serie di attimi, alcuni minuti nel futuro, ma il primo è un diluvio.
In una natura che non viene distinta da nomi desueti, senza coordinate ma solo per grandi interazioni e apparizioni, alcune donne sapiens sapiens vivono, nella interzona tra l’unica città citata quindi l’unica città, Shivering Heights, e un luogo di vacanza che sembra un osservatorio, una camera di bilanciamento, per una totale immersione in una wilderness di un tardo interregno umano.
Potrebbe essere la fine ma intorno, queste donne e questi uomini, non sono, con ancora un poeta, vuoti. Deve esserci stata distanza da oggi, il presente è funzionale in parte con vacanze, scienza, automobili, educazione ma gli umani di Christiane Vadnais sono sani, come possibile, anche nei momenti più drammatici. Le protagoniste sono capaci, piene, abili. Nessun trauma da catastrofe, nessun adattamento doloroso. Conoscono gli animali nella loro interazione essenziale, pura, senza abusi ideologici e appropriazioni culturali: preda, caccia, cibo, rischio.
Ogni notte, una scia di sismi temporali scuote la mente di chi sogna. Richiamando dall’oltretomba i mostri del passato, i sogni danno forma a quelle che Homo sapiens sapiens percepisce, oscuramente, come le minacce del futuro. (pag.117)
Forse sono pochi e poche. Non c’è imbarazzo, il fastidio dell’interazione del singolo con una massa di umani che non si conoscono. Devono esserci le circostanze del numero piccolo, di tribù e Big Man, sullo sfondo. C’è una biologa, non c’è violenza, doni, cura, un sapere antropologico essenziale sembra diffuso. Di animali una qualche moltitudine, sono immaginati in miliardi: se c’è un collasso è sul fronte umano. Tornano i leoni come in una Grecia mitica, la carne si consuma, la caccia è dei viventi. In qualche modo, nel mondo di Vadnais, l’Homo torna, fisico e paradigma, fauna. Predatore e preda, chi mangia e viene mangiato, è il divide essenziale con altro nome, in altro piano, tra soggetto e oggetto. Così la specie ordina e i personaggi provano a ristabilire questo metodo dimenticato, pagina dopo pagina. Qualcosa di essenziale, pre-narrativo, è stato rotto, nel presente; in questo futuro di Vadnais e Faune è necessario un recupero, il danno, l’inganno del divide va in qualche modo, impossibile, ricomposto, riscoperto, rielaborato. There’s no Laura here. In incisi proposti la risposta, in immagini popolate di presenze animali, sfuggenti, deformate, in lag e perdita dati e personalità, non in descrizioni che questo è soprattutto un romanzo d’immaginario ma in un backup informativo che scuote e distrugge il paradigma della somiglianza, qualunque somiglianza tra l’umano e l’artificiale: i sogni degli umani sono il piano d’emergenza della specie.
Agnès vorrebbe che vedere la pelle picchiettata di Heather – così elastica da far risaltare la muscolatura e le ossa – e il suo addome atletico, dove brilla la sottile linea di una cicatrice, la lasciasse impassibile. Ma su gambe e braccia le corrono i brividi. D’un colpo l’acqua fredda sembra colma di una presenza invadente e ha l’impressione che la scena ne riveli un’altra, ancora più oscura, nascosta dietro. (pag. 19)
Volpi, squali, caprioli, non la megafauna del cacciatore-raccoglitore ma questi sono gli abitanti del mondo e su questi abitanti non umani i personaggi di Vadnais attivano un riconoscimento dell’altro, riscoprono essenza in un tardivo, forse, test sul campo narrativo del paradigma shepardiano e della sua validità in vita e scrittura. Questa però è un’altra era, un altro sentiero lungo un flusso del tempo, è il pianeta alieno di Ballard, meno ingenuo perché la profezia è testata in decenni. Senza drammi, in piena accettazione della tragedia, Vadnais lancia in scena personaggi che hanno imparato a morire nell’Antropocene.
Qui e adesso, nelle terre e paesaggio e la sua fauna, è un romanzo in cui la weirdness del pianeta è presente, fortissima come di fronte all’ultimo confine ricordato dell’Area X, come una maniglia in una Orano sotto quarantena ma con una differenza essenziale. L’osservatore, le osservatrici, la scrittrice, in maturità rara che viene dall’adattamento completo dopo l’accettazione, sono in pace. All’origine dell’immaginario, della sua formazione, un sentiero che lì incrocia e percorre tutti.
già su Il problema di Grendel